Il mosaico

Planimetria del mosaico

Il pavimento a “mosaico” della cosiddetta sala triabsidata costituisce una delle scoperte certamente più importanti sotto il profilo monumentale tra quelle fatte alla villa d’Aiano-Torraccia di Chiusi. In effetti questo pavimento ci permette d’apprezzare qualcosa di più del semplice “scheletro” (i nudi muri rimasti) dell’antico sito, ma anche parte del suo sistema decorativo. Esso è stato rinvenuto all’interno della grande sala a tre esedre e tecnicamente si tratta di un pavimento in opus signinum (una traduzione moderno lo potrebbe definire cementizio a base litica: un pavimento costituito da un amalgama di malta, sabbia, frammenti di laterizio e ciottoli di fiume) decorato in superficie mediante l’inserzione di tessere musive formanti motivi decorativi ad andamento generalmente geometrico. Le tessere sono piccoli cubetti litici (in calcare) di colore generalmente nero o talora bianco e il cui lato visibile in superficie misura 1 cm di lato. In varie zone del pavimento, inoltre, sono ancora evidenti tracce dell’antica rubricatura (applicazione di una strato rosso pittorico) azione abbastanza frequente cui, però, in questo caso si associa spesso, lungo la trama musiva, la stesura pittorica di una linea continua, di colore scuro, che segue il profilo e l’andamento delle tessere. Così, mediante l’omogeneizzazione tecnica di pittura e mosaico la decorazione acquisiva maggiore risalto sul fondo rosso e, dato non da poco, una riduzione dei costi d’esecuzione grazie alla diminuzione del numero di tessere necessarie, sostituite impressionisticamente da un’esecuzione pittorica. Quanto alla cronologia, il pavimento si data alla seconda fase di vita della villa, quando, tra la fine del IV e la prima metà del V sec. d.C., la planimetria della sala è ristrutturata passando da sei a tre absidi perimetrali.

Tracce di pittura rossa

Nonostante ampie lacune, la decorazione musiva può essere ricostruita con una certa sicurezza e suddivisa in diverse parti. Al centro si trova il tappeto centrale, d’andamento rettangolare: qui lo schema decorativo si basa su un intreccio di calici curvi con occhiali. Sui lati est ed ovest, per colmare i due spazi risultanti tra il tappeto centrale ed il perimetro murario triangolare della sala, si sviluppa una decorazione di tipo geometrico, con figure curvilinee e rettilinee ripetute, dall’evidente funzione riempitiva.

Poi si passa alla decorazione dei mosaici delle absidi: in quella sud, che fungeva da accesso attraverso due entrate a scalini digradanti, comunicanti su un ambiente a quota superiore (il vestibolo), si trova un rettangolo inscritto in un arco di cerchio, al cui interno lo spazio è articolato in una composizione isotropa di motivi ripetuti, composti da un ottagono regolare e da un rettangolo.

L’esedra ad ovest, invece, presenta un arco di cerchio all’interno del quale è racchiusa una cornice con coppia di sinusoidi allacciate (guilloche) che inquadra  un kantharos (un vaso) centrale donde fuoriescono tralci vegetali stilizzati. Il vaso è caratterizzato da un alto corpo a calice, posto su un piede triangolare a base piatta. Esso, che si distingue per l’estrema stilizzazione delle sue forme, così come tutta la pavimentazione della sala, s’inquadra in una tipologia decorativa assai diffusa in età tardo antica, e, in base ai numerosi confronti, può datarsi tra la fine del IV e l’inizio del V sec. d.C.

Il kantharos dell’esedra occidentale

L’abside ad est è quella che ha più sofferto quanto a conservazione: all’interno ancora di un arco di cerchio, si dispone, con andamento semicircolare, una cornice composta da una serie di rombi e cerchi alternati. Il motivo centrale della composizione, in corrispondenza del precedente kantharos, è purtroppo scomparso.

In conclusione, è importante notare una chiara ricerca di varietà, per non dire, asimmetria decorativa tra gli schemi compositivi delle absidi, nonostante che gli schemi decorativi derivino da disegni predefiniti e tipici dell’epoca.
Lo studio strutturale del pavimento ha evidenziato una perdita di savoir-faire tecnico e della capacità di messa in opera propria a questo tipo di pavimenti: prova ne sia uno spessore complessivo di 5 cm, allorquando solitamente, per questo tipo di strutture, si ha a che fare con strutture ben più potenti. Questo significa, quindi, un’esecuzione in tempi rapidi e a costi ridotti, aprendo la via a quesiti circa l’identità sociale e le capacità culturali ed economiche dei proprietari della villa.

Marco Cavalieri (direttore scientifico, professore di archeologia presso l’Université Catholique de Louvain)